Fratelli e sorelle credenti dell’islam, al-salam alaykum. All’inizio del Ramadan, desidero porgervi un saluto pieno di amicizia e solidarietà. Un saluto che nelle mie intenzioni vuole raggiungere ciascuno di voi, lì dove si trova: nelle case e nei quartieri, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, nelle sale di preghiera e negli ospedali, senza dimenticare il carcere, a me sempre così caro. Al di là di quello che ci unisce e ci distingue nelle rispettive fedi religiose, possiamo e dobbiamo comportarci da buoni “vicini di casa”, ovunque ci troviamo. Metteremo così in pratica un valore fondamentale per voi musulmani, ma non meno importante per i cristiani e per gli aderenti ad altre confessioni, così come per i non credenti.
In un’ora del mondo segnata da grande dolore abbiamo bisogno di stringere più forti legami di amicizia, come segno tangibile della nostra volontà di pace. Proprio mentre ci sembrava di uscire da una prova terribile, quella della pandemia, eccoci di fronte a una guerra sanguinosa, che bussa alle nostre porte e fa appello alle nostre coscienze, così come a quelle dei responsabili della politica. Dobbiamo unirci per chiedere con forza la cessazione dei combattimenti tra Russia e Ucraina e una soluzione pacifica delle controversie, nella ricerca del bene comune. Suona più che mai attuale, in questo contesto, l’appello di Papa Francesco e del Gran Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi: « Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio … chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive».
Propongo di prendere queste parole come traccia delle nostre riflessioni, delle nostre invocazioni e anche delle nostre azioni, in ogni ambito della vita pubblica in questo mese di Ramadan, che in buona parte coincide con il tempo di Quaresima dei cristiani. Propongo inoltre di fare dell’atto esteriore del digiuno fisico, nelle sue varie forme, il segno dell’impegno a un digiuno ancora più profondo: quello della rinuncia ai pensieri e agli atti di rivalsa, di violenza, di sopraffazione nei nostri rapporti quotidiani. Possa davvero essere il digiuno segno della nostra partecipazione alle sofferenze delle nostre sorelle e dei nostri fratelli travolti dalla guerra, in Ucraina così come in tante parti del mondo, le cosiddette “guerre dimenticate”. Il mio augurio è dunque che la “rottura del digiuno”, con la festa di Pasqua il 17 aprile e la fine di Ramadan il 2 maggio, sia rottura delle catene della guerra e inizio di una nuova primavera di pace.
+Matteo Maria Card. Zuppi
Arcivescovo