BOLOGNA – La riflessione di Enrico Morini su tema della sinodalità con uno sguardo all’esperienza delle chiese ortodosse.
Il Sinodo dei vescovi che quest’anno – avendo come tema proprio la sinodalità – si aprirà il prossimo 4 ottobre fu istituito da papa Paolo VI nel ‘65 per ripristinare nella Chiesa cattolica la teoria e la prassi della sinodalità ben conosciute nell’antica Chiesa romana. Come ha ricordato il card. Hollerich alla Tre Giorni del clero bolognese, la struttura ravvisata dal santo pontefice per questo organismo era forse solo il primo passo di un cammino suscettibile di ulteriori evoluzioni. Alcune sono già avvenute a opera di papa Francesco come l’apertura alla partecipazione al Sinodo di sacerdoti, diaconi e laici. Anche se voci critiche hanno visto in questo una cedevolezza alle suggestioni del moderno parlamentarismo, quasi una forma di democratizzazione della Chiesa, a mio parere siamo piuttosto nel solco della sobornost’ russa, per la quale il pomestnij sobor, il concilio a cui partecipano anche sacerdoti, monaci e laici, è il supremo organo di governo della Chiesa.
Io mi permetterei di auspicare un’altra, e per me più importante, evoluzione: l’essenza stessa della sinodalità esige che il suo esercizio comporti una piena capacità decisionale. Un organismo solamente consultivo non è un sinodo nel senso pieno del termine: è simile piuttosto a un “consiglio della corona” che non scalfisce l’assolutismo del sovrano. Ma la Chiesa non è una monarchia assoluta, bensì una comunione dove il primato è al servizio dell’unità. In essa sinodalità e primazialità sono entrambe essenziali al punto che si implicano a vicenda. Lo afferma magistralmente il canone 34 della collezione cosiddetta degli Apostoli, dove si dice che nella Chiesa “i molti non possono fare nulla senza l’uno e l’uno non può fare nulla senza i molti”. Vi si legge che la Chiesa, in questa condivisione del potere tra l’uno e i molti, deve riflettere il mistero della vita trinitaria nella quale convivono, in una perfezione inattingibile, l’unità e la molteplicità. L’attuale pontefice ha già riconosciuto al Sinodo dei vescovi piena capacità decisionale, ovviamente in unione con lui in una prospettiva in cui il sub e l’una cum si integrano. Tuttavia a mio parere c’è ancora cammino da fare. In appendice a una mia pubblicazione del 2018 auspicavo che il triennale Sinodo dei vescovi eleggesse un consiglio ristretto di vescovi che tra un sinodo e l’altro costituisse un organismo permanente per il governo – sempre una cum e sub il papa – della Chiesa cattolica. Ci si può chiedere se il cosiddetto C9 (consiglio dei cardinali in rappresentanza di diverse aree continentali) i cui membri sono scelti personalmente dal papa e non dai vescovi, sia un prodotto della sinodalità e non piuttosto della primazialità. L’equilibrio ravvisato dal canone 34 è infatti delicatissimo, sempre suscettibile di sbilanciamenti. Così infatti è avvenuto sia nella Chiesa cattolica, dove l’ipertrofia del primato papale è venuta soffocando la sinodalità, sia nella Chiesa ortodossa, dove neppure al proprio interno si dà spazio a una effettiva primazialità. Lo mostra l’ecclesiologia della Chiesa russa che non ammette nella Chiesa alcuna primazialità effettiva.
Ci si chiede se l’attuale esperienza sinodale delle Chiese ortodosse possa rappresentare un esempio per il pieno realizzarsi della sinodalità nell’ambito della Chiesa cattolica. A mio parere il problema è a monte: a non essere esemplari non sono tanto le modalità con cui le Chiese ortodosse vivono la sinodalità, quanto piuttosto il modo in cui la maggioranza di esse concepisce la primazialità. Una primazialità soltanto onorifica (codificata nella formula “primus inter pares”) è il perfetto equivalente di una sinodalità soltanto consultiva. Entrambe infatti sono di istituzione divina e credo che il Redentore le abbia volute espressamente come forme di governo e di magistero dottrinale nella Chiesa. “Tutto ciò che legherete sarà legato… tutto ciò che scioglierete sarà sciolto” viene detto sia a Pietro (Mt 16,19), istituendo la primazialità, sia ai Dodici (Mt 18,18) istituendo la sinodalità. “Legare” e “sciogliere” sono infatti termini inequivocabili per indicare il governo e il magistero.
Enrico Morini